Girolamo Giustiniani

Dal villaggio di Pyrgi, nella zona di produzione del mastice (Mastichochora), sull’isola di Chio, Girolamo Giustiniani, ancora sconvolto dal timore della malattia e dal dolore per i morti, invia a Genova notizie de maledicta peste, portata nella città di Chio il 20 maggio dalla nave carica di malvasia di Benedetto Calvo, che ben sapeva di recare a bordo il contagio ma che lo ha tenuto nascosto (ipso sciente et oculte tenente rem ipsam). Invocando contro di lui il castigo, se non di Dio, almeno degli uomini, Girolamo stila una terribile contabilità dei morti: la città di Chio è stata devastata dalla malattia, che in poco tempo ha ucciso 6000 persone, di cui in un solo giorno ben 280, tra il castrum (il centro fortificato) e i borghi, mentre il resto dell’isola è rimasto – per ora – quasi salvo. La morte, portata non dalla malattia, ma da febbre, ha colpito la sua stessa famiglia (in domo nostra): il suo stesso padre; Agostino con il figlio ed il genero; Ambrogio con la moglie, tre figlie, un figlio, il genero ed il nipote; degli schiavi lascia intendere uguale strage, ma preferisce non parlarne (non dico). Pro bona iuncta Girolamo ha appreso, da una lettera appena giunta attraverso Ancona, che la peste infuria anche a Genova e che suo cognato Domenico Doria è morto. Pur nell’incertezza sulla sorte della sorella Macietta e dei suoi figli, affida a Giorgio Giustiniani l’incarico di prendersi cura degli interessi di lei, aiutandola a recuperare la sua dote, che sarà di grande aiuto alla vedova e agli orfani, se ancora vivi. Con il pragmatismo del mercante abituato a fare i conti con la realtà, Girolamo elenca i vantaggi che potrà portare alla sorella una buona disponibilità economica: potrà acquistare titoli (loca) del banco di San Giorgio, che si accresceranno di anno in anno e con i quali potrà provvedere alle spese; i figli le saranno sempre obbedienti, avrà il rispetto dei parenti e non sarà costretta a sottostare ad altri. Macietta infatti è giovane e, se – Dio non voglia! – non le fossero rimasti figli, avendo la sua dote potrà decidere da sola de omni partito capiendo. Girolamo si duole di non poter inviare a Genova l’atto dotale della sorella, rogato dal notaio Lazzaro di Rapallo e che conserva nella città di Chio; a Macietta indirizza una lettera che lascia aperta affinché Giorgio possa leggerla prima di consegnarla.
Il 23 gennaio successivo, dal villaggio di Mestà, Girolamo invia nuove notizie sulla situazione a Chio: la peste continua a infierire ormai in quasi tutta l’isola, a eccezione del villaggio di Volissos, tanto che, il 1° dicembre, è stato costretto a lasciare Pyrgi per Mestà, dove si trova ora insieme con il suocero di Giorgio e con Bernardo Giustiniani e Giovanni Paterio e le loro famiglie, che sono in buona salute. Con la nave Cigalla sono arrivate lettere da Genova: una di Giorgio al suocero, con buone notizie sulla famiglia; una di Macietta, che dà notizie di quanto accaduto a lei e alla figlia maggiore e che comunica la morte della suocera. Girolamo ha appreso con sollievo che gli affari del cognato sono fiorenti, perché questo può accelerare la restituzione della dote alla sorella; anche questa volta non potrà però inviare a Genova l’atto di dote, perché non osa tornare a Chio a causa della peste.




1458, settembre 6 – 1459, gennaio 23, Chio
Girolamo Giustiniani comunica a Giorgio Giustiniani fu Andreolo, a Genova, le notizie sull’epidemia di peste scoppiata nell’isola di Chio e gli raccomanda gli interessi della sorella Macietta, che a seguito della morte del marito deve rientrare in possesso della sua dote.

«6 settembre 1458, Pyrghi (Chio)
A Giorgio Giustiniani fu Andreolo, Genova
Vorrei potervi scrivere solo per piacere e con buone notizie e così sarà in futuro, se Dio vorrà.
Ormai avrete saputo della maledetta peste che ha avuto inizio a Chio il 20 maggio, seminata dalla nave di Bartolomeo Calvo che ha portato un carico di malvasia, ben sapendo di avere a bordo il contagio, che ha tenuto nascosto: e se Dio dovesse perdonargli questo peccato, non lo facciano gli uomini, e per questo pregherò sempre.
La peste ha distrutto questo luogo, infatti in poco tempo sono morte 6000 persone: in un solo giorno ne sono morte 280 nel castrum e nei borghi, mentre l’isola, per grazia di Dio, è rimasta quasi del tutto sana.
Con estremo dolore vi informo che nella nostra casa – non per la malattia ma di febbre – sono morti mio padre, Agostino con suo figlio e suo genero, Ambrogio con la moglie e tre figlie, un figlio ed il nipote, non vi dico quanti schiavi. Lodiamo di tutto Iddio, che abbia pietà delle loro anime.
Per giunta ieri ho avuto notizia che la peste infuria anche a Genova e che mio cognato Domenico Doria è morto. Ve lo riferisco con vero dolore, tanto più che non so cosa ne sia di mia sorella Macietta e dei suoi figli, e prego Gesù Cristo di venirmi in aiuto con la sua misericordia.
Poiché Macietta si trova a Genova senza aiuti e tra estranei vi prego di prendervene cura perché chieda al più presto il pagamento della sua dote. In questo modo potrà provvedere ai suoi figli, investendo il denaro in titoli di San Giorgio che le permetteranno di far fronte alle spese e accumuleranno interessi anno per anno. Così i figli le saranno obbedienti, i congiunti avranno maggior rispetto di lei e non sarà costretta a sottostare ad altri. Macietta infatti è giovane e, se – Dio non voglia! – non le fossero rimasti figli, avendo la sua dote potrà decidere da sola de omni partito capiendo.
Sono addolorato di non poter inviare a Genova il suo atto dotale, che conservo nella città di Chio; ve lo invierò appena possibile. Scrivo a Macietta una lettera che lascio aperta perché possiate leggerla prima di consegnarla.
La familiarità che ho con voi mi spinge ad accollarvi quest’onere; quanto a vostro suocero, il debito che ho nei suoi confronti è tale che dubito di poterlo mai ripagare, e prego che lo faccia Dio, che non permette che la bontà rimanga senza ricompensa.
Sono così stordito per la paura della peste e il dolore per i morti che non so nemmeno quello che dico. Vi raccomando mia sorella».

23 gennaio 1459, Mestà (Chio)
«Il 1° gennaio sono stato costretto a lasciare Pyrghi per Mestà, dove mi trovo insieme con vostro suocero. La peste ha contagiato ormai quasi tutta l’isola, ad eccezione del villaggio di Volissos, dove si trovano ora il nostro Bernardo e Giovanni Paterio con le loro famiglie, che sono in buona salute. Con la nave Cigalla sono arrivate lettere da Genova: da quella che avete scritto a vostro suocero abbiamo appreso le buone notizie sulla famiglia e, con dolore, quanto vi è accaduto, ma ora che è passato rendiamo grazie all’Onnipotente.
Macietta mi ha scritto di quanto è accaduto a lei e alla sua figlia maggiore e mi ha comunicato la morte della suocera. Ho appreso con sollievo che gli affari del mio defunto cognato sono fiorenti, perché questo può accelerare la restituzione della sua dote; anche questa volta non potrò inviare a Genova l’atto di dote, perché non oso tornare a Chio a causa della peste.
Scrivo a Macietta una lettera di cui non vi ripeto il contenuto per non tediarvi e che lei vi potrà mostrare. Vi sono obbligato.
Il vostro Girolamo Giustiniani».

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AS Ge, Archivio Segreto, Diversorum Communis Ianue, 3043. Bibliografia: Mercanti. Gli uomini d’affari a Genova nel medioevo. Mostra documentaria, Genova 20 giugno – 13 luglio 2013, a cura di G. Olgiati, Genova 2013.



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