La schiavitù

Dal X al XVIII secolo è testimoniata a Genova la presenza di schiavi. Sono gli uomini e donne di condizione servile che svolgono i lavori più pesanti nell’agricoltura come nell’artigianato e, nelle dimore private, le mansioni di serve domestiche, balie, badanti, concubine del padrone e oggetto delle attenzioni degli altri uomini della casa. Vittime di guerre, razzie e povertà, provengono dalle coste saracene, dalla Sardegna, poi dal grande mercato del mar Nero: sono tartari, russi, abkhazi, circassi, zichi, magiari, ungari, bulgari, greci, mingreli, lazi, più tardi albanesi, bosniaci, valacchi, mori di Malaga e Granada, ebrei della diaspora sefardita, turchi.
Sono la “merce umana”, voce primaria nell’economia della Genova medievale. Come schiavi non hanno diritti; se liberati, si integrano nella società, formano una famiglia, diventano a tutti gli effetti cittadini di Genova.




1454, agosto 20, Genova
Antonio de Antonio fu Guglielmo cede in locazione la schiava zica Caterina, di circa 28 anni, al macellaio Filippo Cabella fu Pietro come balia per due anni, per la somma di 18 lire all’anno

1 maggio - antichi regimi 3

AS Ge, Notai antichi, 691.II, n. 171




I due anni di locazione di Caterina, «alumna cum lacte», saranno computati a partire dall’8 agosto, quando la donna è stata consegnata – evidentemente in prova – a Filippo da Lazzaro Belingeri de Laquille, familiaris di Antonio. Contestualmente alla stipulazione del contratto viene effettuato il pagamento della prima annualità, con la disposizione che la seconda sia saldata entro Natale. L’accordo prevede altre clausole: Antonio si impegna a non modificare i patti, a non aumentare il canone di locazione e a non portare via la schiava; Filippo promette di pagare il dovuto, di restituire la schiava «melliorata et non deteriorata» al termine dei due anni, di fornirle le calzature e camixias necessarie e di pagare per lei per tale periodo la tassa dovuta per il possesso di schiavi.
L’attività delle balie (baiule, nutrices, alumpne) era regolata a Genova dal capitolo «De puniendis baiulis sive nutricibus puerorum», presente negli Statuti criminali fin dalla compilazione del 1375. Senza distinzione tra libere o serve, la norma disponeva che la balia dovesse avvisare i datori di lavoro entro 8 giorni dalla constatazione di una nuova gravidanza o della perdita del latte, sotto pena di una multa di 20 lire o della fustigazione; la stessa pena era comminata a chi allattava due bambini contemporaneamente senza autorizzazione o cercava di restituire il neonato affidatole prima di un anno dopo l’accettazione dell’incarico oppure mentiva sulla data a partire dalla quale aveva cominciato ad avere il latte.

1 maggio - antichi regimi 4

1453, maggio 17, Genova
Il doge e il Consiglio degli Anziani di Genova accolgono parzialmente la richiesta di Francesco Semino, fabbricante di corazze, di continuare ad affidare alcune lavorazioni alla propria schiava
AS Ge, Archivio Segreto, 3040, s.n.



Ormai da dodici anni Francesco Semino, fabbricante di corazze, utilizzava per la sua attività professionale una schiava di sua proprietà, che svolgeva lavorazioni dalle quali il padrone e la famiglia di lui traevano grande beneficio e guadagno. Volendo privarlo di tale vantaggio, i consoli dell’Arte lo hanno convocato dinanzi ai vicedogi, contestandogli un capitolo degli Statuti che proibisce agli schiavi l’esercizio dell’Arte. Dopo lunga discussione l’artigiano ha ottenuto dai vicedogi una sentenza a lui favorevole, poi ribaltata in sede di appello. Ora, per quanto la schiava non esegua più le lavorazioni proprie dell’Arte, i consoli pretendono di impedirle qualsiasi attività, compreso assemblare le corazze, aiutare la padrona a cucire canovacci e fustagni, molare le lamine e altro, stravolgendo completamente sia le disposizioni degli Statuti sia la sentenza da loro ottenuta. Francesco chiede che sia permesso alla sua schiava eseguire quelle lavorazioni che non competono ai maestri dell’Arte e che dovrebbe altrimenti affidare ad altri dietro compenso. Lamenta infine di essere stato multato dai consoli per la cifra di 25 lire, con sequestro di un pegno, per aver permesso alla schiava di pulire le corazze, lavorazione consentita a chiunque.
Dopo aver ascoltato il supplicante e i consoli dell’Arte, Ambrogio Sirtori e Giacomo Montesco, che difendono la loro posizione, il doge e il Consiglio degli Anziani, pur confermando la validità degli Statuti, decretano che gli schiavi di entrambi i sessi possano assemblare le corazze e svolgere le altre lavorazioni che comportano l’uso dell’ago, e condonano a Francesco l’ammenda a lui inflitta.






Torna alla pagina precedenteVai alla home page della mostraProsegui la visita