Giovanni da Pontremoli
Giovanni da Pontremoli, mercante attivo a Genova soprattutto nel commercio del grano, ha una famiglia numerosa composta dalla moglie Bianchetta del Pino; dai figli Battista, Pietro, Gregorio, Agostino, Filippo, Tommasina, Maria, Monica, Lucieta; da almeno quattro schiave, Maddalena, Catalina, Tommasina e Maria. Durante il contagio si rifugia a Granarolo, mentre i suoi figli più grandi si recano ad Arquata, Gaiano, Promontorio e altrove.
Le lettere scritte da Giovanni ai soci in affari e ai cognati Lorenzo di Rapallo e Giovanni e Stefano del Pino sono pubblicate nel libro Lettere di Giovanni da Pontremoli mercante genovese 1453-1459, a cura di Domenico Gioffré, Genova 1982. Se ne offre qui un breve estratto, tradotto in italiano.
31 marzo 1458
«Al cognato Stefano del Pino, caro come un fratello
Carissimo, ho appreso ieri del vostro arrivo in salvo ad Arquata e ne sono stato molto lieto, per quanto mi abbia sorpreso il fatto che siate partito senza nemmeno avvisarmi».
18 settembre 1458
«Al socio Giovanni Battista Mirono a Costantina, caro come un figlio
La mia mente è afflitta da vari dolori, sia per la peste – ora in fase di esaurimento – sia per le ragioni che sto per raccontare, se potrò. Anch’io ho avuto la malattia, per cui lodo l’Altissimo, e non sorprendetevi se non scrivo in modo ordinato. Per prima cosa vi avviso che tutti i vostri stanno bene, anche se in pena per la guerra a Varazze.
Non potendo partire per mare mi sono recato alla casa di campagna, dove sono rimasto con tutti i miei per tre mesi e mezzo senza mai uscire, mentre mio cognato Stefano ha portato mio figlio Gregorio ad Arquata.
Nei mesi di giugno e luglio sono morte le mie schiave Maddalena e Catalina e la mia figlioletta più piccola. Anche mia sorella Maria si è ammalata ma è stata poi sanata, e ne ringrazio Dio. Venti giorni fa Stefano ha lasciato Arquata, dove è morta una sua schiava, e ora è qui con noi con tutta la famiglia.
All’arrivo di Stefano i miei figli Giuliano e Agostino sono andati a Promontorio ma si sono fermati pochi giorni perché lì si è ammalata ed è morta una schiava. Hanno quindi preso casa con Battistina a Gaiano, nei pressi dell’abitazione nella quale mio figlio Filippo si è rifugiato da 30 giorni lasciando la zona di Polcevera, dove si trovava insieme con il cognato Battista di Rapallo, che per la peste ha perduto la moglie e il figlio ed è rimasto solo con una figlia e la sua balia. Spero molto nel governo del re di Francia e prego che il Signore lo conservi. Vostra madre e tutti i vostri cari stanno bene e ne avrò la debita cura».
18 settembre 1458
«Al socio Nicola de Tacio in Barberia, caro come un fratello
Ho avuto la peste ma il Signore mi ha fatto la grazia della guarigione, mentre sono morte due delle mie schiave e la mia figlioletta. Ora siamo in casa di mio cognato Stefano e stiamo bene, anche se circondati da infermi da ogni parte, tanto che non osiamo uscire di casa.
Con dispiacere vi informo della morte di vostro fratello Iacopo con tutta la sua famiglia, della quale sono sopravvissuti solo la moglie e il figlioletto più piccolo.
Tutti i vostri stanno bene, grazie a Dio, e così vostra sorella. Vostra moglie con i figli è stata in Polcevera, e da una quindicina di giorni si trova a Sampierdarena.
Non scrivo altro per mancanza di tempo ma vi invierò altre lettere per tenervi aggiornato anche del nuovo governo del re di Francia, per il quale rendo grazie all’Altissimo».
1458
«Al socio Giovanni Battista Mirono in Barberia, caro come un figlio
Non ho più avuto risposta alle mie lettere dopo il 20 giugno e vi prego di darmi vostre notizie, anche se dovessero essere infauste.
Dal 20 giugno mi sono sentito ogni giorno come il carcerato che aspetta la liberazione e per tre mesi non sono uscito di casa. Sarebbe troppo lungo e difficile raccontarvi tutto, ma posso solo ringraziare l’Onnipotente per la letizia che ho provato dopo il dolore».
28 settembre 1458
«A Benedetto di Negro
Ho ricevuto la vostra lettera del 7 agosto, recatami da Giovanni Battista di Savignone, e sono stato lieto e consolato dall’aver letto che tanto voi quanto i vostri cari siete in salute. Non potete credere quanto questa estate sia stata sofferta e quanto dolore io abbia provato per vostro figlio; dobbiamo accettare la volontà di Dio che ci ama, corregge e punisce».
18 dicembre 1458
«Al cognato Lorenzo di Rapallo in Corsica, caro come un fratello maggiore
Vi ho scritto più volte ma da oltre un anno non ricevo vostre notizie. Me ne sorprendo, perché più volte vi ho informato delle difficoltà della vostra famiglia. La vostra serva Agnese è venuta a cercarmi in campagna dicendo di non avere di che vivere e le sono venuto incontro per quanto ho potuto, come vedrete distintamente al vostro ritorno.
Ho dato ad Agnese 50 lire e più, e ho pagato oltre 80 lire per i vostri fitti arretrati, poiché la padrona di casa minacciava di mandarla via. Credevo che avreste provveduto alle necessità di casa attraverso vostro nipote Giovanni, ma così non è stato. Vi esorto a tornare qui per qualche giorno per provvedere ai vostri affari, che sono gestiti male, o almeno vi prego di mandarmi istruzioni scritte. Alcuni giorni fa la vostra figlia, monaca a Rapallo, è venuta qui con la sua maestra per prendere certi abiti e biancheria da letto e ho dovuto dirle di non saperne niente».
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