1188 Maiorca

1188, agosto,
Il re di Maiorca ed il Comune di Genova stipulano un accordo di pace della durata di vent’anni, con la promessa di reciproca protezione dei propri sudditi; ai genovesi vengono concesse libertà e sicurezza di commercio, esenzioni fiscali e l’assegnazione di un fondaco, un forno, un bagno ed una chiesa per l’esercizio del culto

1188 Maiorca
Documento membranaceo, mm 855 x 615. Lingua araba con traduzione latina nell’interlinea. AS Ge, Archivio Segreto, 2737 D, n. II. Bibliografia: De Sacy 1827, pp. 7-18; Olivieri 1858, p. 384; De Mas Latrie 1866, pp. 109-113; Amari 1873, pp. 593-600; Codice diplomatico 1936-1942, II, pp. 271-273; Genova, la Liguria 1985, pp. 31-32; Bauden 2010; Tutti i genovesi 2015, pp. 106-108, 111-112.

Il rapporto tra Genova e i regni islamici del Mediterraneo occidentale, improntato allo scontro fin dal X secolo, evolve verso gli accordi diplomatici all’indomani della spedizione di Almeria e Tortosa del 1147-1148, rivelatasi così dispendiosa, nonostante la vittoria, da provocare una grave crisi finanziaria. Già nel 1149 i genovesi concludono un trattato con l’emiro Abū-Abd-Allah Muhammad ibn Said ben Mardanish (re Lupo), ottenendo un fondaco a Valencia e Denia, l’esenzione dai dazi e un ricco tributo in cambio della promessa di pace; nel 1161 l’accordo viene rinnovato e si stipulano patti analoghi con il re del Marocco. Nel 1181 il sovrano delle Baleari, Abū Ibrāhīm Ishāq ibn Muhammad ibn Alī della dinastia Banū Gāniya, ultimo esponente del governo Almoravide e oppositore dell’impero Almohade, conclude con i genovesi un armistizio bilaterale della durata di dieci anni. Prima della sua scadenza, il figlio e successore del sovrano, Abd-Allah, stipula con l’ambasciatore Nicola Leccanozze un nuovo accordo, di durata ventennale e con forti connotazioni commerciali.
A fronte dell’impegno a non recare danno alle terre del sovrano, a non prestare assistenza ai suoi nemici e a difendere i suoi sudditi per terra e per mare, i genovesi ottengono la promessa di protezione dei territori sotto la loro giurisdizione, l’esenzione dai dazi, la tutela delle navi anche in caso di naufragio, la concessione ovunque vorranno di un fondaco, un forno, l’accesso a un bagno una volta la settimana e una chiesa per la celebrazione dei loro riti. Nell’accordo, contratto anche in nome dell’arcivescovo di Genova, si chiama a testimone «Dio, al di fuori del quale non c’è altro Dio: Egli è il migliore dei testimoni». Il trattato, redatto nella variante andalusi della scrittura magribi, riporta nell’interlinea la traduzione latina e al termine il motto (‘alama) dei Banū Gāniya: «Tutto è nelle mani di Dio. Egli è sommo e potente».
I privilegi del 1181 e 1188 conservati nell’Archivio di Stato di Genova sono gli unici rimasti tra quelli emanati dalla dinastia dei Banū Gāniya. Un documento analogo del 1184, conservato a Pisa, andò distrutto nel 1944 nell’incendio dell’Archivio di Stato di Napoli, dove si trovava in prestito in occasione di una mostra.