Lungo tutti i percorsi

Persia, India, Cina: il rapporto dei genovesi con quella che con un termine efficace Roberto Lopez ha definito «l’estrema frontiera del commercio dell’Europa medievale» è legato alle merci di lusso, alla ricerca della ricchezza non per avidità ma come stile di vita e mezzo per provvedere alle necessità della famiglia: la casa, il futuro dei figli (l’avviamento al lavoro per i maschi, la dote per le femmine), qualche agio nella vecchiaia. Non manca, tra le componenti del fenomeno, il desiderio di avventura: il giovane Spinola che lascia Genova nel corso del suo stesso banchetto nuziale, troppo lungo, riconosce, al ritorno da uno «de’ maggiori navicari che si faccia» (dopo 2 anni, 4 mesi e 12 giorni), di aver sempre desiderato di recarsi a Caffa, in Crimea; ma ne riporta anche un grosso guadagno (800 fiorini a fronte dei 1200 di capitale) e si rifarà del tempo perduto «stando fermo con la sua moglie, sanza andare in molti viaggi» (Trecentonovelle, n. 154).
Agli albori della grande espansione commerciale, le merci di lusso (spezie, profumi, tessuti, tappeti) si acquistano a caro prezzo su piazze intermedie, sbocco delle vie carovaniere della Seta e delle Spezie: la Siria-Palestina, Costantinopoli, i regni dell’Africa settentrionale, l’Egitto. Gli accordi di pace e di commercio che Genova stringe con piccoli e grandi Stati del Mediterraneo garantiscono sicurezza, esenzione dai dazi, alti profitti ai suoi mercanti, che portano nel mondo la buona fama dei genovesi e della loro potenza. L’Oriente più vicino è però fragile e instabile: gli Stati cristiani di Terrasanta cedono dinanzi agli eserciti del Saladino e già nel 1187 Gerusalemme è perduta. I pochi successi delle nuove crociate vanno a discapito dell’Impero bizantino; e se la conquista di Cipro nel 1191 impone sull’isola il governo dei Lusignano, destinato a durare fino al 1489, la spedizione franco-veneziana contro Costantinopoli porta alla nascita, nel 1204, di un effimero Impero latino d’Oriente dal quale i genovesi vengono presto esclusi. Nel rapporto ormai inscindibile tra mercatura e attività di governo che la caratterizza, Genova muove alla ricerca di nuovi accordi uomini avvezzi tanto ai commerci quanto all’amministrazione dello Stato, come Ogerio de Pallo – già console di giustizia in patria e mercante in Oltremare – che nel marzo 1201 ottiene da Leone il Magnifico, da poco assurto alla dignità di re dell’Armenia Cilicia per manus romani imperii, libero accesso, sicurezza, esenzione da ogni imposta, propri tribunali e quartieri per i genovesi in tutto il suo regno. L’accordo verrà rinnovato negli anni successivi.
Via della Seta 01
AS Ge, Archivio Segreto, 2722 n. 24. Bibliografia: I Libri Iurium, I/2, n. 346; Tutti i genovesi, pp. 57-59.

1215, marzo
Leone II, re d’Armenia, concede ad Ugo Ferrario, a nome del Comune di Genova, propria giurisdizione e libertà di commercio nelle sue terre, comprese quelle di futura conquista, oltre a un’area con una chiesa a Tarso.




Il privilegio che Leone II il Magnifico concede non più solo ai genovesi, come nel 1201, ma al loro Comune, ai loro figli e a tutti quelli qui dicti sunt ianuenses, riconoscendo la natura composita di quei mercanti che si muovono sotto la bandiera di Genova, è solo in parte la riproposizione di quello precedente. La concessione di tribunali propri, già limitata alle controversie tra genovesi, è ora garantita secundum morem et consuetudinem Ianue, con la sola eccezione dei casi di furto e di omicidio. La libertà di comprare, vendere, andare e venire per terra e per mare senza pagare dazi e con la rinuncia del sovrano allo ius naufragii, prima estesa anche alle terre dei baroni del Regno, incontra ora la limitazione espressa riguardo alle terre sotto il dominio di Ottone di Tiberiade, Adam de Gastim, Vahram de Gorigos e Lèon de Gaban, almeno finché non saranno eventualmente tornate in potere del sovrano. Non sono ripetute le donazioni di proprietà a Sis (una terra per costruire una chiesa, un fondaco, case e un tribunale) e a Mamistra (una chiesa già costruita e un terreno), probabilmente già rese effettive, ma sono ampliate quelle relative a Tarso (un vicum da possedere in perpetuo libere et quiete, una chiesa, un terreno nel quale edificare un bagno e un forno e piantare un giardino).
Il notaio Nicolò de Porta, che il 3 aprile 1249 redige la copia autentica del privilegio dalla sua versione latina, mancante della sottoscrizione apposta da Leone con inchiostro rosso, descrive il sigillo pendente d’oro, che raffigura da un lato il sovrano coronato sedente in cattedra con il globo d’oro sormontato dalla croce nella mano destra e un giglio nella sinistra, dall’altro un leone coronato, in posa simile a quella dell’agnus Dei, reggente la croce nella mano destra, con una legenda in caratteri non latini che il notaio non è stato in grado di interpretare.




1288, dicembre 23
Leone III, re d’Armenia concede ai genovesi esenzioni fiscali sull’acquisto e l’esportazione di schiavi e bestiame nelle sue terre e determina le tariffe sulla vendita, importazione ed esportazione di merci

Via della Seta 02 AS Ge, Archivio Segreto, 2737 D, doc. J. Bibliografia: De Saint Martin, p. 97; Liber iurium II, 1857, n. 64; Langlois, p. 159; Recueil, I, p. 751 ; Lisciandrelli, n. 436; I Libri Iurium 1992-2002, I/7, n. 1188; Mutafian, p. 120 ; Roma – Armenia, pp. 182-183; Arménie, p. 149; Ianuenses / Genovesi, pp. 54-56; Genova, tesori, pp. 81, 83.




Nel 1288, su richiesta di Benedetto Zaccaria, già ammiraglio nella battaglia della Meloria, feudatario di Focea e monopolista del commercio dell’allume, che agisce in qualità di vicario del Comune di Genova, Leone III concede ai genovesi nuovi privilegi commerciali ed esenzioni fiscali. L’accordo del 1288 è il più antico dei quattro privilegi commerciali redatti in lingua armena esistenti al mondo. Scritto dal cancelliere Héthoum in una lingua considerata "volgare", differente dall’armeno classico, reca la data 737 del calendario armeno e, in inchiostro rosso, la firma del sovrano: Leone, re degli Armeni.
Avvezzi a dare forma scritta a contratti anche di limitato – quando non del tutto assente – importo economico, i genovesi sono soliti omettere o mascherare con perifrasi i particolari considerati più delicati: l’ammontare dell’interesse, sempre negato, nei mutui gratis et amore; la natura giuridica, spesso simulata dietro altre fattispecie (compravendita invece che assicurazione); la destinazione del viaggio, sempre indeterminata quando riguarda località colpite da devetum (embargo commerciale) o percorsi che si preferisce mantenere riservati, come quelli che portano alla Via della Seta (Per diversas mundi partes; in terris transmarinis; quo Deus mihi melius administraverit "dove Dio mi condurrà"). Se è impossibile stabilire la provenienza dei primi mercanti occidentali giunti in Cina, è certo che i genovesi percorrono numerosi gli itinerari che portano a destinazione in non meno di due anni, e che nemmeno la tutela dei khan mongoli può rendere privi di rischi.




1259, dicembre 10, Genova
Orlando Batoso ed Enrico Todesco di Lucca dichiarano di aver ricevuto da Enrico Paxio, cittadino genovese, una partita di seta cinese, per la quale si impegnano a pagare la somma di 256 lire provisine alla prossima fiera di Lagny o di saldarla a Genova entro Pasqua, al cambio di 19 denari di Genova per 12 denari provisini.

Via della Seta 03
AS GE, Notai antichi, 35, c. 1v. Bibliografia: Lopez, Su e giù, p. 130; Genova, porta del mondo, pp. 35-36.




Il mercante Orlando Battoso fu Battoso, personaggio di spicco del ceto mercantile lucchese, figura attivo a Genova tra gli anni ’50 e ’70 del Duecento, in qualità di socio e rappresentante di una compagnia commerciale costituita inizialmente su base familiare con i fratelli Giovanni e Castore. Il 5 marzo 1253 compare tra i rappresentanti di 28 società commerciali lucchesi che nominano procuratori per ottenere alcune immunità dal governo genovese. Negli anni successivi il suo nome ricorre di frequente negli atti notarili genovesi, sia in contratti di compravendita di panni francesi, seta, allume, grano e spezie, sia in operazioni di cambio sulle piazze di Roma e Lucca e nelle fiere di Champagne come Troyes, Provins, Bar-sur-Aube, Lagny-sur-Marne. Tra settembre e dicembre del 1259, insieme con altri soci di Lucca, acquista due grosse partite di seta cinese.
La seta del Cathay arriva sui mercati d’Occidente dopo il Mille, portata da mercanti musulmani e bizantini. Il termine seta Catuya compare però nei documenti solo dopo la metà del Duecento, quando la pax mongolica rende possibile ai mercanti italiani recarsi direttamente sui luoghi di produzione. I mercanti genovesi saranno particolarmente attivi e presenti nel commercio con la Cina, ma la loro reticenza a rivelare nei contratti la destinazione finale dei loro viaggi impedisce di assegnare con certezza il primato a Genova o a Venezia. I dati finora conosciuti sono tutt’altro che definitivi: il documento esposto dimostra la presenza di seta Catuya sul mercato genovese già nel 1259, ma non indica se l’importazione sia stata diretta o mediata da mercanti orientali; il padre e lo zio di Marco Polo si recano in Cina per la prima volta nel 1260. Una conferma della frequenza dei rapporti commerciali tra Genova e la Cina è data anche dal manuale di mercatura che Francesco di Balduccio Pegolotti, mercante fiorentino della Compagnia dei Bardi, scrive tra il 1310 ed il 1340, ragguagliando i pesi in uso nel Cathay al sistema ponderale genovese.
Per il lungo viaggio verso l’India e la Cina (ad partes Cathay) si può scegliere – anche in ragione delle merci trasportate – fra tre diversi itinerari. Il più lungo, che si svolge quasi interamente via mare, va dal Mar Rosso o dal Golfo Persico all’Oceano Indiano, quindi prosegue lungo le coste dell’India, dell’Indocina e della Cina. Dura in media due anni, ma permette il trasporto di merci voluminose e pesanti. Il più breve parte dalla Persia e prosegue nel deserto del Kirman, sull’altipiano del Pamir e attraverso il deserto dei Gobi, fino alla Grande Muraglia. Tocca grandi città come Tabriz, Meshed, Samarcanda, ma è il più rischioso, a causa dei luoghi impervi e infestati da bande di briganti. La terza via, la più sicura, porta dalla Crimea al Turkestan, quindi al deserto dei Gobi e di qui alla Cina.
Sui mercati occidentali la seta cinese è considerata di minor pregio di quella proveniente dalla Persia e dal Turkestan, a causa dei danni da sfregamento che subisce durante il lungo viaggio. Viene però venduta a buon mercato nelle località di produzione, e consente comunque ai mercanti un buon margine di guadagno, se acquistata in grandi quantità.
Via della Seta Piccola Armenia
Pianta della Piccola Armenia: Elaborazione grafica di pubblico dominio

Nel volgere di pochi decenni il quadro politico del mondo conosciuto muta completamente: l’alleanza stretta nel 1261 con Michele Paleologo riporta i genovesi a Costantinopoli e apre loro l’accesso al mar Nero; l’impero mongolo impone su un territorio sterminato le condizioni di sicurezza necessarie per il fiorire del commercio; l’avanzata dei mamelucchi d’Egitto in Siria-Palestina fa dell’Armenia Cilicia, grazie alla sua posizione sul Golfo di Alessandretta, uno degli sbocchi marittimi più importanti della Via della Seta. Transitano da Laiazzo, diretti verso i territori dominati dai mongoli, Guglielmo di Rubruck, Giovanni di Montecorvino, Marco Polo; nella città armena, che il viaggiatore veneziano descrive come «di grande mercanzia» e punto di partenza per uno dei percorsi più frequentati verso l’interno dell’Asia, i genovesi dispongono di un insediamento stabile sotto il comando di un console, con una chiesa intitolata a San Lorenzo, diversi fondaci, case, magazzini e una loggia nella quale si amministra la giustizia.
Nel quartiere genovese di Laiazzo abita e lavora il notaio Domenico Bargone, di cui si sono conservati atti degli anni 1277 e 1279, pubblicati in versione integrale nel 1989. Le sue carte più antiche, che recavano i segni del tempo e del bombardamento di Luigi XIV nel 1684, sono state recentemente restaurate.

1277, dicembre 14, Laiazzo
Clerico Lercari e Margonino Margono, procuratori di Grimaldo e Pietro Bestagno, rilasciano quietanza a Pasquale Maniceta e Nicolò di Albaro, fedecommissari del defunto Giovanni Lavorabem, per la somma di 800 daremi nuovi d’Armenia.


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AS GE, Notai ignoti, 14, frammento 128. Bibliografia: Balletto, pp. 283-284.


Nella seconda metà del XIII secolo i rapporti diplomatici tra i mongoli e l’Occidente, eredità delle ambascerie promosse da Innocenzo IV – primo papa genovese – fin dal 1245, riprendono su iniziativa degli il-khan di Persia, che cercano nuovi alleati nella guerra contro i turchi. Gli Annali riferiscono l’arrivo a Genova, nel 1269, di ambasciatori del sultano di Babilonia, dei tartari e dell’imperatore bizantino «a cagione di parlare col sommo pontefice e con i re dei Franchi e di Sicilia»; due inviati mongoli partecipano nel 1274 al Concilio di Lione. Nel 1287 giunge a Genova l’ambasceria inviata dall’il-khan Argoun a Bisanzio, Roma, in Francia ed in Inghilterra: uno dei due interpreti del capo della missione - il monaco nestoriano Rabban Saumâ, nativo di Khanbaliq - è il genovese Tommaso Anfossi. Le successive missioni, inviate da Argoun e da uno dei suoi successori, Ghazan, verranno affidate, nel 1289 e nel 1302, al genovese Buscarello Ghisolfi. Ormai lontano dall’idea della crociata, l’Occidente non interviene nello scontro che oppone ai mamelucchi i mongoli di Persia e l’Armenia Cilicia; alla morte di Ghazan, convertitosi alla religione islamica, anche questa alleanza avrà termine.




1303, giugno 20, Genova.
Argentina Zaccaria, moglie e procuratrice di Paolo Doria, rilascia quietanza a Luchetto e Andriolo *** per il contratto di accomendacio da loro stipulato con il marito a Trebisonda il 21 maggio 1302.

Via della Seta 05AS Ge, Notai ignoti, 8, frammento 93 j. Bibliografia: Tutti i genovesi, pp. 59-60.




La donna che agisce in questo documento in qualità di procuratrice del marito è figlia del famoso Benedetto Zaccaria, feudatario di Focea, ricchissimo mercante e ammiraglio per conto di Genova, del re di Castiglia e del re di Francia. Alla fortuna degli Zaccaria è legato anche Paolo Doria, promesso sposo di Argentina nel 1282 e da allora – poco più che ventenne – stretto collaboratore del suocero in affari condotti ad Alessandria, Focea, in Siria e a Trebisonda, nonché nell’attacco condotto nel 1289 alla nave egiziana presso Candeloro, che provoca la rappresaglia del Sultano Qalawun contro i mercanti genovesi. Già console di Caffa, tra il 1289 ed il 1290 è console di Trebisonda, dove nel 1302 stipula per mano del notaio Marco di Recco un contratto di accomendacio affidando a due mercanti diretti a Tabriz - o dove Dio vorrà (vel quo Deus vobis melius administraret) - una ricca partita di merci, del valore di 2917 lire, 4 soldi e 10 denari di Genova, oltre a due bulletis di tessuto leggero (fandatis) di 8 pezze, per 115 lire 10 soldi e 5 denari, e 7 pezze di panno lombardo di 71 canne. Consiglieri di Argentina, che a nome del marito rilascia quietanza per la conclusione dell’affare, consegnando alle controparti il contratto annullato (incissum), sono i fratelli dei due coniugi, Oliverio Doria e Paleologo Zaccaria, e Segurano Salvago. Quest’ultimo – di cui non è chiaro il legame con Argentina - è il mercante noto per lo sdegno con il quale il domenicano Guglielmo d’Adam ne ha denunciato nell’operetta De modo Saracenos extirpandi la condizione di uomo di fiducia del Sultano d’Egitto e il commercio di schiavi da lui intrapreso tra Caffa ed il Cairo. I danni subiti dal documento non permettono di leggere i cognomi di Luchetto e Andreolo, gli altri contraenti del contratto di accomendacio; potrebbe trattarsi di Luchetto de Mari e Andreolo Cattaneo della Volta - marito dell’altra figlia di Benedetto -, che risultano legati da un rapporto di fiducia in altro documento del 1311.




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