Andalò da Savignone

Andalò da Savignone, nato sul finire del XIV secolo, è uno dei mercanti genovesi che, raggiunto l’estremo Oriente per ragioni commerciali, riuscirono a guadagnarsi il favore dei sovrani e ne divennero rappresentanti presso le corti d’Occidente.
Non si conosce la sua famiglia d’origine, della quale si può solo presumere la provenienza dal paese dell’Alta Valle Scrivia. Il primo documento conosciuto su di lui è l’incarico, affidatogli il 27 gennaio 1313 da Pallavicino Pallavicini, insieme con Federico Fellone, di recuperare da Samuele Spinola il prezzo di tre pezze di panno francigeno. Negli anni successivi mancano notizie su di lui, forse a causa del viaggio che compie lungo la Via della Seta, itinerario che costringe i mercanti a lunghi anni di assenza dalla patria. Nell’ottobre del 1330 si trova a Khanbaligh (l’odierna Pechino), dove viene nominato esecutore testamentario, insieme con Leone Vegia, da Antonio Sarmore (o Salmoira) di Chiavari. Ritornato a Genova, nel 1333 assolve alcune incombenze derivanti proprio dalla cura dell’eredità di Antonio: il 27 marzo si impegna a saldare a Percivalle Mazonus un debito di 30 lire per un mutuo contratto dal defunto a Tabriz l’8 aprile 1312; il 17 settembre paga al notaio Enrico Vegio, collettore dell’introytus decenum legatorum per il 1330, la somma considerevole di 712 lire e 10 soldi.






Via della Seta 13
AS GE, Notai antichi, 182, cc. 157r.-v. Bibliografia: Balard, pp. 161-164; Ianuenses/Genovesi, pp. 66-67.

1333, settembre 17, Genova
Il notaio Enrico Vegio, cancelliere del Comune di Genova e collettore dell’introytus decenum legatorum per il 1330, riceve da Andalò da Savignone, esecutore testamentario - insieme con Leone Vegia – del defunto Antonio Salmoyra di Chiavari, morto a Khanbaligh nell’ottobre del 1330, la somma di 667 lire e 10 soldi genovesi, insieme ad altre 45 lire per imposte di vario genere, quale valore delle 475 libbre di seta del Cathay per le quali ha ottenuto sentenza dal giureconsulto Matteo de Nursia, iudex calegarum del Comune di Genova.





Il recupero dell’eredità di un collega morto in terra straniera è pratica comune per i mercanti del medioevo e anche in relazione all’estremo Oriente se ne incontrano numerosi esempi nelle minute dei notai genovesi, per quanto l’operazione non fosse esente da rischi, dato che la legge stabiliva che i beni degli stranieri morti nelle terre del Cathay fossero di proprietà degli ufficiali del khan. Antonio Salmoyra (in altro documento detto Sarmore), figlio di Guglielmo, ha probabilmente trascorso in Oriente buona parte della sua vita di mercante: l’8 aprile 1312 è a Tabriz – sede già nel 1304 di un insediamento genovese con un proprio console - dove dinanzi al notaio Giovanni Perizollo de Vegio stipula con Percivalle Mazonus un contratto di mutuo per la somma di 30 lire; il 1° ottobre 1330, a Khanbaligh, detta il suo testamento – in assenza di notai occidentali – al frate francescano Iacopo, nominando come esecutori due mercanti occidentali, forse suoi soci in affari. Compito di Andalò da Savignone e Leone Vegio è recuperare i beni del defunto e riportarli in patria, per consegnarli agli eredi e soddisfare le pretese di eventuali creditori. Il 27 marzo 1333 Andalò riceve dal console di giustizia di Genova l’ordine di pagare entro dieci giorni la somma di 30 lire a Percivalle Mazonus, che attende da oltre vent’anni la restituzione del prestito, e si impegna ad assolvere l’obbligo, presentando un fideiussore. L’eredità di Antonio è peraltro di ben altra consistenza, se il decenum legatorum (la tassa del 10% sul valore dei lasciti) ammonta a oltre seicento lire, alle quali vanno sommate altre 45 lire per prelievi fiscali di diverso genere, dai dazi doganali all’avaria, la principale imposta diretta. L’India e la Cina offrono agli intraprendenti e coraggiosi mercanti occidentali l’occasione di guadagnare grandi ricchezze, ma anche il rischio di non fare mai più ritorno in patria.
Ritornato in Cina, Andalò nel luglio 1336 riceve dal khan Toghan Timur – che usa per lui l’appellativo generico di "Andrea franco", che ha fatto dubitare a lungo sulla reale identità dell’ambasciatore – l’incarico di recarsi da papa Benedetto XII, ad Avignone. Scopo della missione è presentare al pontefice la supplica di alcuni fedeli del khan, di stirpe alana e di fede cristiana, che sollecitano la nomina di un nuovo legato pontificio come successore di Giovanni da Montecorvino, morto ormai da anni; per parte sua, il khan chiede al papa il dono di cavalli occidentali e di “altre meraviglie”.
Il 20 dicembre 1337 Andalò è a Genova, dove incarica i guardiani del carcere della Malapaga di liberare il notaio Oberto Borrino, detenuto su sua richiesta per un debito di 1000 lire; non un gesto di generosità, ma la probabile conseguenza del fatto che il notaio, per ottenere la liberazione, avrà provveduto a presentare adeguate garanzie per la restituzione del denaro. Nel maggio del 1338 Andalò e gli altri ambasciatori incontrano ad Avignone il papa, che consegna loro lettere indirizzate ai sovrani mongoli, ai sovrani di Ungheria e di Napoli e al doge di Venezia. Il 22 dicembre 1338 il Senato veneziano concede ad Andalò di Savignone de Ianua e agli altri ambasciatori dell’imperatore del Cathay l’autorizzazione a esportare cavalli, in numero da cinque a dieci, e iocalia di cristallo, del valore da mille a duemila fiorini d’oro, ponendo la condizione che il trasporto sia effettuato a bordo di navi veneziane. Forse memore dell’esito della prima ambasceria di Buscarello Ghisolfi, in occasione della quale l’il-khan Geikhatou aveva ricambiato il dono di girifalchi e pietre preziose con un leopardo, il papa potrebbe aver pensato a oggetti di cristallo, quindi di lusso ma meno impegnativi e costosi delle gemme, come mirabilia da donare al khan; tanto più che già Matteo e Nicolò Polo li avevano utilizzati nel Duecento per ingraziarsi i favori del khan del Kipciak. Andalò ritorna invece a Genova, dove si imbarca con gli altri ambasciatori su una nave genovese, facendo scalo a Napoli per prendere a bordo il frate Giovanni Marignolli, inviato del papa. Raggiunta Caffa, l’ambasceria prosegue per via di terra fino al compimento della missione. Non si fa più menzione di iocalia di cristallo, monopolio dei veneziani, ma il dono dei cavalli è accolto con entusiasmo dal khan, che commissiona al pittore di corte un ritratto che lo raffigura in sella a uno dei destrieri.
Nel febbraio del 1346 Andalò è di nuovo a Genova, dove compare, insieme con i notai Nicolò de Cassina e Nicolò di Castello, come primo fideiussore della compera da parte del notaio Nicolò de Caneto dell’Introytus unius medalie maris, per la somma di 1331 lire; il 9 febbraio 1345 figura tra i testimoni di un contratto; nel 1352 rilascia procura a Cristiano Pallavicino, che il 23 luglio recupera per suo conto la somma di duemila lire di Genova, relativa ad un contratto di cambio stipulato a Bruges. Non si conosce la data della sua morte.




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